Riflessione del vangelo
“Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente»”. Il gesto di totale altruismo di questo centurione romano è una scuola di immensa umanità. La sua non è preghiera per sé stesso, è preghiera per un suo servo, uno di quelli che la cultura dell’epoca poteva relegare tranquillamente a un oggetto da cambiare, da sostituire senza perdere molto tempo. Eppure invece dall’alto della sua posizione il centurione va a cercare Gesù e lo implora di fare qualcosa per il suo servo. In questa accorata preghiera Gesù si sente toccato nel vivo di quella compassione che attraversa tutto il Vangelo: “Gesù gli rispose: «Io verrò e lo curerò»”. Potremmo tranquillamente chiudere qui il racconto, pensando che il meglio ormai è stato raggiunto. Ma è proprio a questo punto che il centurione romano imprevedibilmente tira fuori una fede ancora più immensa: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa». In pratica sta dicendo a Gesù: non voglio la prova che mi stai esaudendo, io mi fido di te anche senza nessuna prova esterna. Io so che tu hai preso a cuore le mie parole anche se non vedrò nulla di come interverrai. La sua è fede che si fida, non fede che cerca di convincere. Se noi imparassimo a pregare così le nostre preghiere risulterebbero meno disperate. Perché la sensazione terribile che a volte ci prende nella preghiera è quella di domandare senza vedere nessun segno di essere stati ascoltati, accolti, presi in carico. Avere fede significa credere che se siamo amati è impossibile che Dio rimanga indifferente a ciò che è decisivo nella nostra storia. Credere senza conferme. Pregare senza dubitare. Affidarsi senza tentennare. “In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande”.
Matteo 8,5-11
Don Luigi Maria Epicoco